Sala del Capitolo

Fra le chiesa collegiate, cioè aventi un collegio o capitolo di sacerdoti presieduti da un prevosto (o preposito), con dotazione di prebende e distribuzione di compiti corali, messa comune, officiatura quotidiana e insegne particolari, ebbe posizione di spicco la Collegiata Insigne dei Santi Nazaro e Celso in città.

Essa venne costituita il 18 aprile del 1300 e annoverava cinque canonici, compreso il prevosto.

Soppressa con le leggi del 1797-1798, la Collegiata di San Nazaro venne ricostituita il 23 febbraio 1875 da Papa Pio IX, e ai canonici, venne concesso l’uso del rocchetto e dalla cappa nera.

Nel complesso degli edifici che lungo i secoli hanno connotato la mutevole morfologia architettonica disegnata dalla chiesa e dalle costruzioni annesse, è ancora oggi individuabile, perfettamente conservata sebbene un pò compromessa dai copri di fabbrica che le stanno a ridosso, una magnifica sala rinascimentale, affrescata all’interno con festose vegetazioni, distese senza soluzione di continuità sugli spazi disponibili, e con ritratti compunti e seriosi di prevosti e primiceri collocati negli spazi delle ampie lunette, personaggi per lo più appartenenti alle nobili famiglie Ducco e Averoldi, che ricoprirono tali cariche da fine Quattrocento a quasi tutto il Cinquecento.

L’idea di edificare questa sala, adatta per le riunioni del capitolo, risale sicuramente a Fabio Averoldi, in carica fra il 1531 e il 1562.

L’interno della sala si presenta con la volta a crociera, senza costoloni a vista ma con una grande chiave marmorea a fungere da serraglia, al centro della volta, recante lo stemma Ducco ad alto rilievo. Gli spicchi della volta e le pareti sono interamente coperti da vitigni intrecciati, con una smisurata quantità di piccole foglie di un verde tenero che danno quasi l’impressione fallace di essere sotto un cielo stellato. Il contorno delle lunette è invece sottolineato da corposi intrecci di fiori e frutta, cromaticamente più ricchi e di piacevole finto aggetto, mentre nelle lunette a fondo cinerognolo e azzurrino campeggiano i ritratti dei prevosti o primiceri, a mezza persona e variamente atteggiati, sormontati tutti dal rispettivo stemma gentilizio e individuati (nella maggioranza) dalle iniziali del nome posto alla base della lunetta.

 

La presente lettura e decifrazione dei personaggi inizia dalla parete destra per chi entra (e cioè la parte est), sulla quale in altrettante lunette stanno tre personaggi. Il primo è Manfredinus Medionalensis, segue un personaggio da individuare in Ottaviano Ducco, il terzo personaggio di questa parete è quel Fabio Averoldi di cui si è detto sopra.

Sulla parete ove sta la porta di ingresso sormontata dalla lunetta con l’iscrizioni e lo stemma Ducco, vi sono due altre lunette e due altri personaggi: sulla sinistra un Averoldi, dichiarato come Giovan Matteo Averoldi, fratello di Fabio. A destra campeggia, invece, un ritratto con stemma Ducco ma senza monogramma. Si tratta certamente di Girolamo Ducco. Sulla parte di sinistra per chi entra, il primo ritratto è di un Ducco identificabile in Mario Ducco, al centro è ancora un Ducco, Pietro Ducco, l’ultimo è perciò identificabile nel primicerio Gabriele Zamara, il primo canonico a fruire di questa dignità subito dopo l’istituzione sancita da Giovanni Ducco.

 

I due personaggi più importanti, i vescovi Altobello Averoldi e Giovanni Ducco, sono raffigurati insieme nell’unica lunetta della parete di fondo, ricavata fra le due finestre: i rispettivi stemmi gentilizi sono arricchiti dalla presenza della mitra episcopale.

La decorazione pittorica della sala capitolare venne attribuita, pur in assoluta assenza di documentazione archivistica, alla mano del pittore bresciano Floriano Ferramola (1480 ca- 1528). Il Fè D’Ostiani (1895 p. 38-39) pone come committente di quest’opera il primicerio Gianfrancesco Ducco e non fa cenno del pittore.

Il Panazza vede in questi affreschi, influssi derivati da Girolamo Romanino, anche in certe forzature delle espressioni dei personaggi effigiati nella ricerca della resa dei caratteri, non del tutto riuscita. Molto attendibile, è l’ipotesi d’esecuzione al settimo decennio del Cinquecento, già proposta dalla Gianfranceschi (1989 p.59). É anche probabile che la decorazione appartenga a due mani diverse. Nella piccola sala sono anche conservati due mobili intarsiati molto validi per documentare un altro aspetto fondamentale della civiltà figurativa del rinascimento, che anche a Brescia lasciò esempi cospicui. Questo bancone di San Nazaro presenta in fronte con una successione di sezioni con quattro tarsie poste a croce, compartite da eleganti lesene con capitello corinzio. Le tarsie, a finissima decorazione geometrica, ottengono mirabili effetti di chiaroscuro e di pittoricismo. La panca, ampia, di fattura meno raffinata, ha grandi tarsie decorate soltanto da sommare i motivi geometrici.

 

(Cfr. V. VOLTA – P. V. BEGNI REDONA –  R. PRESTINI – G. SAMBONET – C. GIANNELLI BUSS,

La Collegiata Insigne dei Santi Nazaro e Celso in Brescia, La Scuola, Brescia 1992).